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ALTOPASCIO Spari contro auto e ditta di Bacci Due in manette

LUCCA. Un debito da 270 mila euro dietro i colpi di arma da fuoco che il 23 gennaio sono stati esplosi contro la Mercedes dell’imprenditore fiorentino e patron della Lucchese calcio Andrea Bacci e, alcune ore dopo, contro la pelletteria Ab Florence di Scandicci, di cui la moglie di Bacci è legale rappresentante. Lo ha scoperto la Guardia di finanza di Firenze, che ieri, a seguito di una misura di custodia cautelare in carcere disposta dal gip su richiesta della procura di Firenze, ha arrestato l’imprenditore Pasquale D’Alterio, quarantacinquenne campano residente a Chiesina Uzzanese (Pistoia), e il quarantanovenne catanese Giuseppe Raffone, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, residente a Firenze. I reati contestati sono concorso in estorsione continuata e possesso e detenzione illecita di arma da fuoco.

D’Alterio, accusato di essere il mandante dell’atto intimidatorio, avrebbe assoldato Raffone per minacciare Bacci e recuperare il denaro che l’azienda edile di Bacci, la Coam srl di Rignano, doveva alla sua impresa, la Fcm srl con sede ad Altopascio, specializzata nella posa in opera di pavimentazioni. Le indagini, condotte dai finanzieri del Gico, non finiscono qui: nell’inchiesta risultano indagate altre due persone, sulle quali sono ancora in corso accertamenti. E ancora non sono stati individuati i materiali esecutori dei due attentati, che avrebbero agito agli ordini di Raffone – gravato da una sfilza di precedenti di polizia per estorsione, detenzione di armi e droga – per conto dell’imprenditore.

Per gli investigatori, Andrea Bacci e Fabio Bettucci, proprietario e amministratore di Coam, nel mese di novembre scorso avevano raggiunto un accordo per saldare una parte del loro debito con la Fcm.

L’accordo saltò quando la procura, a dicembre 2016, chiese il fallimento per bancarotta fraudolenta della stessa Coam. A D’Alterio doveva andare un appartamento, circa 190.000 euro il suo valore, che l’impresa di Bacci stava costruendo a Livorno. Però tutto si bloccò con l’istanza di fallimento e la successiva richiesta di concordato preventivo da parte della società di costruzioni, che di fatto blocca la possibilità di pagare i creditori.

Proprio per le vicende relative alla Coam (che fino al 26 febbraio è stata anche la proprietaria della Lucchese, mentre ora le quotesono state cedute ai soci lucchesi), Andrea Bacci, imprenditore divenuto noto in in passato perché amico della famiglia dell’ex presidente dle Consiglio Matteo Renzi, è indagato a Firenze per reati fallimentari. A questo punto, dopo aver capito che non avrebbe avuto nulla da Bacci, D’Alterio si sarebbe accordato con Giuseppe Raffone, chiedendo il suo intervento per recuperare i soldi.

Il quarantanovenne iniziò a telefonare all’amministratore della Coam Fabio Bettucci presentandosi come un consulente di D’Altiero. Prima le minacce contenute nelle telefonate erano velate, poi più dirette: «Io voglio evitare il peggio, ma non sono ascoltato». Bettucci e Raffone si incontrarono nel bar di una stazione di servizio a Firenze: «Dovete stare attenti – disse il quarantanovenne all’ad di Coam – io so tutto di voi, anche dove abitate».

Il 23 gennaio il piano estorsivo raggiunse il suo culmine. La mattina alle 10,30 un colpo di arma da fuoco fu esploso contro l’auto di Bacci, in sosta nel parcheggio della Ab Florence. Per un caso fortuito il proiettile non rimbalzò contro le vetrate dell’azienda. Se lo avesse fatto, avrebbe rischiato di ferite di dipendenti, o peggio avrebbe potuto uccidere. Alcune ore dopo, verso le 19,30, quando l’azienda era chiusa, il secondo e ancora più chiaro avvertimento: spari contro l’insegna e contro una vetrata della Ab Florence. In entrambi i casi Raffone sarebbe stato sul posto, come dimostrato anche dalla presenza della sua Renault Clio scura, immortalata dalle telecamere di sorveglianza della ditta. Tuttavia non sarebbe stato lui a sparare. Per gli attentati sarebbe stata usata un’arma artigianale, probabilmente una canna di fucile caricata con proiettili da caccia. La minaccia fu efficace. Dopo gli spari contro la pelletteria alla Fcm sarebbero arrivati circa 60.000 euro direttamente da un’azienda che doveva

questa stessa cifra alla Coam. Sulla vicenda proseguono le indagini coordinate dagli inquirenti fiorentini.

Il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo ha spiegato che «il cerchio non è ancora chiuso, le indagini vanno avanti su un fatto grave e insolito per la Toscana».

Fonte: Il Tirreno