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PORCARI Da veterinaria a creatrice di moda: ̬ Ilaria Grossi, eccellenza lucchese РCronaca

Porcari (LUCCA) –

LUCCA

Le somiglia il fucsia, perché esprime ironia. Le appartiene il giallo, per la sua solarità. Anche l’azzurro indaco, perché il suo volto è di una bellezza raffinata e un poco eterea. E perché parla a voce bassa, pacata. Ma è anche un po’ “nera”: è grintosa, rock. Eccola Ilaria Grossi, nella moda il marchio Edda Berg, “raccontata” dai colori dei capi che ha presentato all’ultima Montecarlo Fashion Week, la collezione primavera estate 2019. Un marchio, un’intelligenza e una creatività tutte lucchesi. E la fondazione della sua casa di moda, come il debutto delle sue collezioni su passerelle internazionali, è una storia da romanzo.

Nasce tutto per caso, o forse no, perché il Dna il suo peso ce l’ha: sarta la nonna di Ilaria, Rita Edda Berghi, la cui madre Teresa e la cui nonna Raffaella erano state sarte a loro volta. Ilaria no: laureata in veterinaria, per anni si è occupata di grandi animali. Poi i figli, una pausa di due anni dal lavoro, l’iscrizione a medicina e molti esami già superati. «Per divertimento e per guadagnare qualcosa, con mia cugina diplomata al Polimoda, realizzammo una piccola collezione – racconta Ilaria Grossi -. Facemmo tutto noi: dal marchio, che è il nome di nostra nonna, al packaging alle etichette. Il 24 settembre 2016 fu il nostro debutto in società: avvenne a Fashion in Flair (la mostra di moda e artigianato a Villa Bottini, ndr), dove accaddero cose fortuite che si sono rivelate fondamentali. La prima è che vincemmo il premio della manifestazione: consisteva nell’esporre per sei mesi i nostri capi in un negozio affermato, che era Vitalina a Porcari. La seconda è che a Fashion in Flair conoscemmo la direttrice della Camera della Moda di Montecarlo (Principato di Monaco, ndr). Scriveva anche per una rivista di moda e si avvicinò a noi per intervistarci. Aggiunse che le interessavano i nostri capi per una sfilata che voleva fare a Montecarlo. Andai in tilt: non mi sentivo adeguata, ero sola, ma decisi di andare».

È quella sfilata del dicembre 2016 lo spartiacque nella vita di Ilaria Grossi. «Ero al quarto anno di medicina – ricorda -. Congelai gli esami. Fra la strada enigmatica e quella tracciata scelsi la prima. Questo lavoro mi piace, mi porta un sacco di soddisfazioni». Dopo la sfilata arrivò il lavoro vero, le collezioni, gli ordini.

Edda Berg è stata una «one woman band», come la definisce la sua fondatrice, per alcuni mesi, nei quali Ilaria ha pensato a tutto: dalle sarte ai fili e ai bottoni, a creare gli abiti, alle spedizioni. «Poi – continua – è arrivata Samuela Vannucchini a lavorare con me. Insieme abbiamo partecipato alla Montecarlo Fashion Week 2017. Al gala degli ambasciatori abbiamo conosciuto esponenti del mondo economico monacense che vogliono investire sulla moda. Abbiamo accettato la proposta di un imprenditore socio della Camera della Moda di Montecarlo a costituire una società con lui, che è nata a gennaio 2018».

«A pensare a tutto questo mi viene da sorridere – termina il racconto Ilaria Grossi -. Ci sono momenti in cui la vita ti dà un segnale e lo devi saper leggere». Dopo Samuela, a fianco di Ilaria è arrivata anche Giulia Di Mortella Orsi: la più giovane del team, 27 anni, che cura la comunicazione.

Una “storia di donne”. «Lo dico con orgoglio – aggiunge Ilaria -. Siamo tutte donne qui. Da noi alle sarte, tutte bravissime. Anche il nostro agente è una donna: Gaia Niccolai».

La maison Edda Berg, che opera anche nel commercio online, si basa «sulle cose belle e fatte bene. Ci credo tanto e spero di avere ragione. Noi facciamo abiti carini, di buona qualità e a prezzi abbordabili. Da parte mia, cerco ogni giorni di imparare, studio di tutto». La testimonial di Edda Berg è Emma Morton,

cantante scozzese che vive a Lucca. «L’ho conosciuta prima del nostro esordio. Adesso è la mia testimonial. Incarna perfettamente la nostra donna: fascino retrò ma molto moderna, rock, un po’ malinconica, fragile e forte. Molto femminile e sobria. E adoro la sua voce». —

Fonte: Il Tirreno