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GROSSETO – Primo Piano – Giorno della Memoria. L’intervento del Sindaco


sindaco in prefettura

In Prefettura, davanti agli studenti delle scuole

Giorno della Memoria. L’intervento del Sindaco

Nogarin: “La lotta contro l’antisemitismo riguarda da vicino tutti noi e va combattuta ogni giorno nel proprio quotidiano”.

Livorno, 27 gennaio 2017 – Oggi, venerdì 27 gennaio, Giorno della Memoria, sono in corso in città una serie di appuntamenti che si svolgeranno fino a sera (consulta l’agenda di oggi)
Il sindaco Filippo Nogarin è intervenuto alla cerimonia in programma in Prefettura, insieme al Presidente della Comunità Ebraica di Livorno Vittorio Mosseri e alla Prefetto Anna Maria Manzone, davanti a molti studenti delle scuole medie.

Di seguito l‘intervento completo del Sindaco.

“Gentili autorità, cittadini, care ragazze e cari ragazzi,
sono profondamente onorato di essere qui a celebrare insieme a voi il giorno della memoria nel ricordo di tutte le vittime dell’Olocausto.
Una tragedia che non ha uguali nella storia d’Europa e del mondo
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” diceva Primo Levi.
E io credo che questa sia la frase perfetta per descrivere lo stato d’animo di chi si approccia a un evento enorme e devastante come questo.

Quando penso all’Olocausto non penso direttamente ai campi di sterminio allestiti dai Nazisti.
Penso, piuttosto, con estremo dolore all’Italia dove, nel 1938, il regime fascista avviò una violenta campagna antisemita promulgando le leggi razziali.
Era il 14 luglio.
In quelle leggi folli si stabiliva che gli italiani erano ariani e che gli ebrei non erano mai stati italiani.
Un’infamia e una vergogna inenarrabili che portarono alla persecuzione italiana dei cittadini ebrei e alla deportazione, alla prigionia e alla morte di migliaia di persone.

Sono convinto che il lavoro da fare per ricostruire questa storia e trasmetterla alle nuove generazioni non sarà mai troppo, e che il non facile compito al quale siamo chiamati sia di diffondere, soprattutto tra i ragazzi, una cultura di integrazione e di rispetto della diversità intesa in tutte le sue forme; presupposto imprescindibile di democrazia e di vita.

Questa cultura dell’integrazione va costruita ogni giorno, mattone dopo mattone, a partire da alcuni pilastri principali che voglio richiamare con voi.
La riflessione, prima di tutto, che è il motivo per cui siamo qui oggi.
Riflettere sullo sterminio “sistematico” attuato dal Nazismo, con la complicità dei diversi fascismi europei, significa infatti interrogarsi su se stessi, facendosi carico della propria parte di responsabilità verso la Storia e, soprattutto, nei confronti di quelle dei singoli individui.
I colpevoli di questo abominio, infatti, non furono solo uomini e donne con i capelli biondi e l’accento tedesco. Anche noi “Italiani brava gente” abbiamo avuto il nostro ruolo, tutt’altro che marginale.
Con la promulgazione delle leggi razziali, nel giro di poche settimane persero il lavoro in Italia migliaia di persone tra insegnanti, dipendenti pubblici, privati, militari, professionisti. Qualcuno fuggì, altri tentarono inutilmente la fortuna in Francia o verso Est.
E i giovani, i ragazzi come voi, quale sorte ebbero?
All’inizio i bambini poterono proseguire gli studi, sebbene riuniti in classi separate e marchiati con un vistoso timbro sulle pagelle: “Razza ebraica”.
In breve anche loro a migliaia, tra studenti universitari, delle scuole secondarie e delle elementari furono costretti a lasciare gli studi.
Gli ebrei arrestati furono circa ottomila, in tanti furono deportati, altri morirono prima di salire sui treni.
Ma la cosa che più di tutte mi fa rabbrividire in tutta questa orribile vicenda e che deve farci riflettere, è il fatto che molti di essi furono denunciati dai loro stessi amici, dai vicini di casa e dai colleghi di lavoro.
Non alieni dunque, ma persone qualsiasi, come me e come voi.
Il governo fascista arrivò addirittura a mettere taglie sugli ebrei affinché fossero denunciati alle forze di polizia: 5 mila lire per ogni maschio, 2 mila per donne o bambini.
La grave crisi economica, e l’imminente guerra fecero il resto, portando molti italiani a considerare la vita umana alla stregua di una fonte di guadagno.

L’altro pilastro su cui va costruita la cultura dell’integrazione è la comprensione.
Occorre comprendere pienamente e far comprendere soprattutto ai più giovani, quali furono le dinamiche che portarono ad alimentare nel cuore della civile Europa, fin dentro la nostra Italia, quella spirale di razzismo inaudito; per non doverle ripetere mai più.
Alcuni di questi pericoli, infatti, ricorrono non di rado nella storia umana.
Nei momenti di crisi economica e di incertezza verso il futuro, il tessuto di solidarietà e di socialità è più fragile e sentimenti come il razzismo e la paura del diverso possono trovare un terreno fertile su cui affondare le proprie radici malate.
Allora si cercano colpevoli facilmente identificabili, si va a caccia del diverso, che molto spesso è lo straniero o comunque la comunità non del tutto assimilabile alla maggioranza.
Basta guardarsi intorno: non ci troviamo forse anche oggi a vivere una fase di profondo smarrimento e di incertezza, e ad avere paura di ciò che non ci somiglia?
Per questo dico facciamo attenzione, stiamo accorti, non sottovalutiamo niente, perché assuefarsi all’indifferenza è un attimo.
Mentre l’indifferenza è il nostro primo nemico da sconfiggere, quello che davanti ai morti in mare e ai confini presi d’assalto ci fa dire “non posso farci niente”, “io non c’entro”, e andare oltre.
Ma la storia, che è maestra di vita, ci insegna che così non è, ed oggi, nel giorno della memoria, lo urla più forte che mai.

Ho parlato finora di comprensione e di riflessione come fondamenta imprescindibili di una cultura dell’integrazione.
Il presupposto fondamentale, come ci ricorda questa giornata, resta tuttavia l’esercizio della memoria.
La memoria della mostruosità inconcepibile delle leggi razziali, dell’annientamento e dell’Olocausto del popolo ebraico e del martirio di tanta povera gente (oppositori politici antifascisti prigionieri di guerra sinti e rom, gruppi religiosi, omosessuali e disabili).
A voi ragazzi dico di esercitarla sempre, incessantemente, ogni volta che ce ne sarà bisogno.
La scuola rappresenta, in questo senso, il luogo privilegiato nel quale la memoria si intreccia con il futuro di cui voi soltanto, ragazzi e ragazze, siete i protagonisti.
Approfittatene.
Interrogate i vostri insegnanti, ascoltate le testimonianze di chi è sopravvissuto, leggete, documentatevi, nutrite il vostro spirito critico.
Per parte nostra, continueremo a far sì che il ricordo non diventi una pratica meccanica che rischia di anestetizzare il dolore.

Oggi le porte di Auschwitz si apriranno per accogliere il doloroso pellegrinaggio di tanti visitatori, il sorriso triste di Anna Frank riapparirà su qualche schermo di tv o sui telefonini, i palinsesti televisivi proietteranno documentari in bianco e nero e film sull’Olocausto.
Eppure.
Eppure solo un mese fa, in città, abbiamo denunciato l’ennesimo episodio di intolleranza – o di stupidità – con un muro vergato da un simbolo che solo a vederlo fa rabbrividire.
Eppure mai come oggi in tanti paesi europei l’antisemitismo è in aumento.
Per questo vi invito a non abbassare mai la guardia, la lotta contro l’antisemitismo riguarda da vicino tutti noi e va combattuta ogni giorno nel proprio quotidiano.

Parlando di memoria non posso non ricordare uno dei figli più autorevoli della nostra città.
Il rabbino Elio Toaff, di cui tra pochi mesi ricorreranno i due anni dalla scomparsa.
Egli rappresenta per tutti noi l’espressione più alta dell’integrazione, del dialogo e della volontà di costruire un mondo migliore, dove far coesistere pacificamente fedi e ideali diversi.
Toaff sperimentò sulla sua pelle la follia delle Leggi Razziali e dell’ideologia nazifascista, arrivando a rischiare la fucilazione. Eppure le sue idee di libertà e dialogo, i valori della democrazia e della resistenza, la speranza negli uomini, a prescindere dal loro credo, l’impegno civile trasversale, sono stati più forti di ogni ingiustizia subita.
I suoi principi appartengono oggi alla comune coscienza nazionale e ognuno di noi ha il dovere e la responsabilità di prendersene cura e di diffonderli.

Concludo e di nuovo mi rivolgo a voi, cari ragazzi, auspicando che grazie anche alle vostre famiglie, ai vostri insegnanti, a iniziative come quella odierna, riusciate a raccogliere il testimone della memoria.
Una memoria che naturalmente non può essere dimentica degli altri genocidi che la storia ha purtroppo conosciuto.
Così come ho cominciato, mi piace chiudere questo intervento con la frase di chi ha conosciuto da vicino l’orrore dell’Olocausto.
Ho scelto quella di una ragazzina che aveva all’incirca la vostra età, Anna Frank.
Ho preferito questa alle molte frasi che ha annotato nel suo diario, perché è un messaggio di speranza che auspico possiate conservare e far germogliare dentro di voi: “Come è meraviglioso che non vi sia nessun bisogno di aspettare un singolo attimo prima di iniziare a migliorare il mondo”.

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