
Dura 45 minuti l’udienza in Corte d’Appello: l’imputato, che non si presenta e non chiede scusa, non si accorse del ciclista
LUCCA. Il processo in Corte d’Appello dura 45 minuti. Un tempo sufficiente al collegio della terza sezione penale di Firenze per ribadire quanto scritto e motivato dal giudice di primo grado Matteo Marini: Simone Pardini, 16 anni, il ciclista di San Lorenzo a Vaccoli, il 3 agosto 2015 venne travolto e ucciso da un camion mentre si allenava con un amico in sella alla sua mountain bike lungo la via Romana tra Montecarlo e Altopascio. Il minorenne viaggiava regolarmente sulla riga destra di delimitazione della carreggiata come gli aveva insegnato il babbo e non infranse alcuna norma del codice della strada.
Viceversa, l’autotrasportatore Cerbone Palmieri, 43 anni, origini campane e residenza a Pescia, forse perché distratto (dai rilievi della polizia municipale emerse subito che non aveva fatto uso di sostanze alcoliche o stupefacenti), non si accorse del ragazzo. Così l’autoarticolato trascinò via il giovane atleta senza dargli il tempo e la possibilità di accorgersi di quanto gli stava accadendo. Una tragedia che poteva essere evitata: difficile non vedere due ragazzi in bici su un tratto dritto di 500 metri alle 11 del mattino con cielo sereno e massima visibilità .
LA CONDANNA
Dopo essersi ritirati in camera di consiglio, i giudici impiegano meno di un quarto d’ora per rientrare e leggere il dispositivo. I togati di Corte d’Appello, che respingono tutte le eccezioni presentate dalla difesa, ricalcano la sentenza del giudice monocratico del tribunale di Lucca: 3 anni e 10 mesi di reclusione per omicidio colposo con la pena accessoria della sospensione della patente per 4 anni e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque. Per arrivare alla prima sentenza trascorsero 3 anni, un mese e quindici giorni dal momento della tragedia. Ieri, per quella d’Appello, sono passati 4 anni, otto mesi e ventisei giorni dalla mattina infausta in cui perse la vita Simone Pardini. Adesso l’imputato – che non si è presentato in aula e in tutti questi anni non ha mai chiesto scusa alla famiglia a voce o mediante uno scritto – attraverso il suo legale potrà ricorrere, una volta depositate le motivazioni della sentenza (30 giorni), in Cassazione. Ma le possibilità di una revisione si sono decisamente ridotte.
LA COMMOZIONE
Ieri mattina a Novoli con l’avvocato di famiglia, Andrea Mitresi dello studio Niccolai di Pistoia, c’erano babbo Roberto, mamma Calogera e il fratello Lorenzo che, per la prima volta, ha assistito ad un’udienza in cui il dolore per la perdita si è mescolato alla soddisfazione per l’esito processuale. Una sentenza di condanna, quella della Corte d’Appello nei confronti del camionista, che non può essere riparatrice, ma che quantomeno allevia l’immenso dolore per la perdita di un figlio o di un fratello maggiore. Si abbracciano Roberto, Calogera e Lorenzo. C’è commozione, ma anche consapevolezza di aver fatto il possibile per dare giustizia a quel ragazzo volato in cielo troppo presto: «Nessuno potrà darci il sorriso di Simone. – dice babbo Roberto, carattere e nervi d’acciaio, sempre presente nei vari dibattimenti e che ha combattuto come un leone per dare giustizia al figlio – Ma questa sentenza dimostra che il mio ragazzo era nel giusto, che non aveva commesso alcuna infrazione, che, come gli avevo insegnato seguendolo un paio di volte con l’auto senza farmene accorgere, si comportava sulla strada quando era in bici con quel rispetto che aveva nella vita di tutti i giorni per i suoi simili. Io lo sapevo, ne ero certo. E questi due gradi di giudizio hanno confermato le mie convinzioni».
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Fonte: Il Tirreno